Discussione: Never Ending Banquet
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Vecchio 19-06-2006, 21:44
Tohru Honda Tohru Honda non è connesso
Angelo
 
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Predefinito Re: Never Ending Banquet

Me contenta che vi sia piaciuta ^//^...

Più che altro ho un dubbio esistenziale: l'io narrante non può essere Yuki, giusto? Sembrerebbe dal fatto che erano in quattro ed uno era una bambina, però la madre di Yuki non è affatto così dolce, tanto più che l'ha regalato subito ad Akito... sono incerta se si tratta di una caratterizazzione OOC (Out Of Carachter) della mamma o se il personaggio non è Yuki... però spero di poter leggere presto il seguito!
No, l'io narrante è il figlio di Kyo e Tohru, dovrei averlo scritto nella nota introduttiva ^^; i bambini a cui ha accennato faranno la loro comparsa in seguito...a proposito, ecco il primo pezzo del capitolo iniziale.



“Tanto tempo fa, Dio invitò gli animali ad una festa…”


Quasi tutti i suoi sogni cominciavano così.
Non riusciva a ricordarne i dettagli, con precisione. Nello stesso momento in cui apriva gli occhi, i pensieri di quel se stesso che si svegliava non appena lui si addormentava, svanivano come neve al sole, senza che se ne accorgesse.
Però, era certo di essere stato molto felice di partecipare a quelle feste immaginarie.
Ricordava solo un insieme di colori, di suoni, di risate………e la gioia che provava nell’esserne circondato.
Non era la festa della fiaba che la sua mamma gli raccontava; non era la stessa.
Quella era…triste, cupa; ai suoi occhi, appariva come una voragine pronta ad inghiottirlo, per non lasciarlo più andare. Non avrebbe mai desiderato farne parte, per nulla al mondo.
La festa dei suoi sogni, invece, era la più bella rappresentazione della felicità che avesse mai visto in vita sua. C’era sempre stata, ci sarebbe stata sempre, non sarebbe mai finita…
Ma ecco che la realtà gli veniva incontro, per smentirlo. La sveglia cominciava a suonare, e i genitori venivano a riprendere i propri figli, per riportarli a casa; lui avrebbe voluto che anche loro si unissero ai festeggiamenti, ma sembravano così ansiosi di portarlo via…suo padre, sembrava ansioso di portarlo via.
Si rigirò nel letto, sperando che quel rumore fastidioso cessasse. Era assurda, la sua sveglia; a regalargliela era stata la zia Kagura, il che diceva tutto…
Si trattava, infatti, di un curioso aggeggio a forma di gatto dal pelo arancione.
E a lui non erano mai piaciuti i gatti; forse era questo l’unico punto su cui non era d’accordo con la sua mamma. Con suo padre, invece, non era d’accordo proprio su nulla.
Oh, non è che l’antipatia per questi animali derivasse dall’ essere il topo…non aveva neanche mai conosciuto il gatto, non sapeva chi fosse. A volte, gli capitava di chiedere informazioni a riguardo, ai genitori o agli zii; ma era inutile, tutti glissavano abilmente sulla questione…e lui smetteva di fare domande. Andava bene così, in fondo; la sua era semplice curiosità.
E poi, era un bambino. Non credeva che dei semplici silenzi potessero avere così tante interpretazioni.
Era solo un bambino a cui non piaceva il proprio padre. E suo padre era un gatto.
Qualcuno spense la sveglia. Quando aprì gli occhi, vide sua madre, che gli sorrideva dolcemente, come sempre. Shinji ricambiò il sorriso, stringendo a sè la mano con la quale la donna gli stava scompigliando i capelli, per gioco.
Lei era la creatura più bella del mondo. Era così. Semplicemente…era la verità.
-Buongiorno.- disse lei, chinandosi a dargli un bacio sulla fronte. Lui sorrise, richiudendo gli occhi e accoccolandosi sul cuscino.
Era in quei momenti, che pensava che, in fondo, non gli importava poi tanto delle prese in giro di Rui, sul suo attaccamento alla mamma.
Era solo invidioso, perché lei era buona, dolce e bellissima; e lui era fiero di poter dire di essere figlio di una persona simile. Di poter affermare che, per la sua mamma, era la persona più importante del mondo, insieme a papà.
Non c’era bisogno che lei dicesse una cosa simile, per capirlo. Perché era…sincera, cristallina, in quello che provava; erano i suoi occhi, l’espressione che assumeva quando lo guardava, a dire di amarlo. Il suo desiderio più grande era quello di imparare a comunicare i propri sentimenti allo stesso modo, perché a parole non riusciva a esprimerli. Non riusciva a dire a sua madre quanto tenesse a lei.
Voleva farlo, ma ogni parola…sembrava sbagliata. Aveva paura che non lo sapesse.
Aveva paura che pensasse che non l’amasse. Lei, che meritava più amore di chiunque altro al mondo.
-Ciao…- disse, piano. Le immagini del sogno non l’avevano ancora abbandonato, non del tutto. -…la torta alle fragole…-
-Eh?- fece sua madre, perplessa, per poi riprendere a sorridere –Shinji…è un sogno. Svegliati.-
Per la verità, avrebbe voluto lasciarlo riposare un altro po’; sembrava un angioletto, con l’aria così serena e felice. Non è bello rompere i sogni capaci di regalarti certe espressioni.
Ma era davvero tardi. Yuki sarebbe arrivato di lì a poco, e farlo aspettare non sarebbe stato per nulla carino, considerato il disturbo che si prendeva per loro.
Shinji si rigirò nuovamente nel letto, prima di decidersi ad aprire nuovamente gli occhi e ritornare alla realtà.
Guardò sua madre; era da qualche mese, ormai, che aveva la pancia piuttosto gonfia. Non era certo di aver capito bene, ma sembrava che lì dentro si trovasse la sorellina che stava per arrivare. E dire che lui era convinto che si ordinassero per posta, e che venissero consegnate insieme al resto della corrispondenza.
-…si.- disse –Che ore sono?- chiese, stropicciandosi gli occhi con le mani. Vedeva ancora i festoni a forma di frutta.
-Dunque…- cominciò lei –Sono le…-
-…7.30!!!- esclamò una terza voce, improvvisamente. Shinji sobbalzò, spostando lo sguardo verso la porta della camera.
Suo padre stava in piedi sulla soglia, guardandolo con un’espressione spazientita. Ci risiamo.
-Sai cosa succede, se quando quel maledetto topo arriva qui, tu ancora non sei pronto? Che…-
Il bambino sobbalzò sul letto, mentre Tohru si voltò a guardare il marito, con gli occhi sbarrati.
Lui sussultò, non appena si rese conto di quello che aveva detto; il cipiglio irritato di prima svanì, per lasciare il posto ad un’aria chiaramente imbarazzata. –Beh, io…non intendevo che…- balbettò, a bassa voce.
-Cattivo, papà!!!- protestò Shinji, urlando.
Tohru stava per entrare nel panico –N-no…non voleva offenderti….è spontaneo, per lui, dire che…cioè, è in buona fede, non…-
-Tu sarai un maledetto gatto!- ribat il bambino, troppo arrabbiato per prestare attenzione alle parole della madre. Quest’ultima sgranò gli occhi, voltandosi verso Kyo, la cui reazione non si fece aspettare.
-Dannato marmocchio!- esclamò, infatti, con furia, avanzando di qualche passo –Dovresti imparare a portare rispetto a tuo padre, invece di comportarti come un moccioso saccente!-
Tohru sospirò piano, assistendo all’ennesimo scambio di battute pungenti, tra i due; di solito quei dialoghi animati si protraevano per almeno mezz’ora, senza che nessuno, neanche lei, fosse in grando di porvi fine. Una serie continua di grida, rimproveri, insulti…leggeri, tutto sommato; o, perlomeno, molto infantili. La causa scatenante poteva essere di qualsiasi genere, dalla più piccola mancanza al lapsus più sciocco, come in quel caso; occasioni simili si presentavano quasi ogni giorno, per cui, ormai, quei litigi sembravano essere diventati degli obbligati riti quotidiani.
Lei, dal canto proprio, li trovava quasi rilassanti; era un po’ come tornare al passato, quando Yuki e Kyo si pizzicavano per ogni cosa, arrivando anche alle mani, spesso e volentieri. Si era sempre preoccupata, aveva sempre sperato che quell’astio si consumasse; ma, alla fin fine, quei litigi, che con il passare del tempo si erano fatti più rari e di sempre minore intensità, avevano cominciato a rappresentare una di quelle cose che la faceva sentire a casa, al sicuro.
Piccoli screzi, battutine acide…ma familiari e quasi tenere, se ci si era abituati. Nessuna cattiveria.
Per cui, sorrise lievemente.
Kyo sembrava un ragazzino; lo stesso che aveva fatto il suo ingresso a casa di Shigure spaccando il tetto, desideroso di scontrarsi con Yuki. Un po’ irritabile, scostante…Kyo; il suo Kyo, a sedici anni. Forse a causa dell’estrema somiglianza fra il proprio carattere e quello di Shinji, non poteva fare a meno di pizzicarsi, quando il figlio lo provocava, reagendo così come avrebbe fatto un bambino.
Shinji, invece…beh, lui era un caso un po’ diverso.
Tohru non avrebbe mai dimenticato, non avrebbe mai potuto dimenticare…quel “ti odio”, pronunciato fra le lacrime. Nessuno l’avrebbe dimenticato. Risuonava ancora, così chiaramente, fra le mure di quella casa.
Rabbrividì, in modo quasi impercettibile. E scosse la testa.
Una volta. Un’altra ancora.
Per scacciare via i brutti pensieri.
Poi, spostò lo sguardo sul suo bambino, che ancora, con le guance arrossate e un’espressione infastidita, stava litigando con il padre.
Un bimbo così piccolo…era da proteggere. Doveva…voleva proteggerlo. Disperatamente.
Il suo tesoro più prezioso.
Si alzò lentamente dal letto, appoggiandosi al muro per evitare di cadere; ormai era all’ottavo mese di gravidanza, e voleva assolutamente evitare qualsiasi urto o incidente che potesse danneggiare la bambina.
A differenza di quanto accaduto mentre aspettava Shinji, questa volta lei e Kyo avevano voluto sapere prima se il nascituro fosse maschio o femmina…semplicemente perché il figlio premeva affinchè gli dicessero se avrebbe dovuto prepararsi a condividere i giocattoli con un fratellino, o proteggere una sorellina dalle compagnette di scuola, che senza dubbio, come diceva lui, sarebbero state delle irrimediabili galline.
Era una bambina.
Appena saputo, Tohru aveva insistito perché le venisse preparata una stanza adatta, con le pareti color rosa zucchero, le lenzuola piene di merletti, bambole e peluches dappertutto; Kyo l’aveva accontentata senza protestare, nonostante fosse fermamente convinto dell’eccessiva “confettosità” del tutto. Ma Tohru era tanto felice di arredare quella camera, per cui non aveva sollevato nessuna obiezione. Solo, lo preoccupava la troppa esuberanza della moglie che, da quando aveva saputo di essere in dolce attesa, pareva aver messo su una marcia in più, non facendo altro che andare avanti e indietro tra casa e negozi, acquistando ogni cosa le sembrasse adatta al nuovo arrivo. Per i primi mesi, quando ancora la gravidanza sarebbe stata notata solo da un occhio attento, Kyo l’aveva lasciata fare; ma quando la cosa si era fatta più impegnativa e dura da sopportare, aveva preso provvedimenti, senza esitazione, imponendole una serie di paletti che lei avrebbe dovuto rispettare, per evitare di farlo ammattire per la preoccupazione.
Uno di quelli, era l’evitare di alzarsi così di scatto, senza qualcuno che la sostenesse.
-Tohru!!!- esclamò, interrompendo bruscamente la discussione con il figlio, per precipitarsi dalla moglie. Dopo averle cinto la vita con un braccio, delicatamente ma con fermezza, fece in modo che si appoggiasse a lui.
Poi le riservò un’occhiata severa. –Non farlo mai più!- disse, ad alta voce –Cosa ti costa fare come ti dico, una volta tanto? Vuoi farmi morire?-
Evidentemente, si.
Perché ogni volta che le faceva un discorso del genere, lei gli rivolgeva un sorriso che sembrava quasi prenderlo in giro, per quanto diceva. Dolce, tenero, affettuoso…lui adorava quel tipo di sorriso; però non gli piaceva affatto che lei prendesse alla leggera una cosa tanto importante, perché era responsabile non solo di se stessa, ma della loro bambina. E lui si sentiva responsabile di entrambe, oltre che di Shinji.
Erano la sua famiglia. Si, anche lui, anche il gatto, ne aveva una.
Aveva una famiglia che amava, da cui era amato.
C’era Tohru. Il fiore più prezioso, la persona più bella, la moglie che amava infinitamente.
C’era la bambina che stava arrivando. E credeva fosse normale volerle bene ancora prima che nascesse, così com’era accaduto per Shinji.
E c’era Shinji.
Lui era…suo figlio. Suo figlio.
Era difficile spiegare il legame esistente fra loro, in altri termini. Qualcosa che lui per primo non sapeva definire, che era più e meno di un normale rapporto tra padre e figlio.
-Scusami…- fece Tohru, a bassa voce -…volevo andare a prendere la colazione per portarla a Shinji con un vassoio, visto che eravate qui a…conversare.- concluse, incerta.
Kyo la guardò come se fosse impazzita. –Andare…prendere…portare…- balbettò, quasi in stato confusionale -…stai…stai delirando?!?- esclamò, con tutto il fiato che aveva in gola. Poi si voltò a fissare Shinji, come sorpreso di vederlo ancora lì –E tu, che fai? Fila in cucina, e vedi di sbrigarti! O vuoi che tua madre si prenda il disturbo di servirti direttamente in camera?!- sbraitò, fulminandolo.
Il bambino scosse furiosamente la testa, saltando giù dal letto –Certo che no! Vado subito mamma!- disse, mettendosi a correre verso la cucina. Prima di scomparire per il corridoio, però, si voltò un’ultima volta verso il padre, lanciandogli un’occhiataccia –Stupido gatto.- sentenziò, per poi schizzare via come un fulmine.
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